Il mondo si è svegliato.
Dalla pandemia, dai lockdown, dalla grande accelerazione che ha travolto tutto e tutti, persone, mercati, comunità, territori, e sta aprendo nuove strade al pensiero, alle arti, al consumo, all’abitare, alla creatività. E anche al futuro del cibo. La pandemia, quel cigno nero altamente improbabile e non prevedibile se non a posteriori, ha costretto il mondo a ripensare la tecnologia, la formazione, gli spazi, le relazioni, i comportamenti, il modo in cui mangiamo, i modo in cui consumiamo. Ha aumentato la consapevolezza della fragilità del sistema globalizzato e ha determinato uno spostamento dal globale e centralizzato, al locale e decentralizzato.
Ovunque lo sguardo è ora sulle economie e sulle comunità locali e sulla loro capacità di produrre il cibo che le nutre. Il design e la creatività sono chiamati a ripensare il mondo in una nuova prospettiva, che non può prescindere dalla sostenibilità come pensiero che guida la ricostruzione, di un pianeta violato, malato, in cui molti dei modelli di consumo a cui siamo abituati stanno fallendo. E che ha scoperto di avere un tempo finito davanti a sé.
Le persone si stanno eco-risvegliando. Sono sempre più consapevoli del loro legame con la natura, dell’impatto delle loro azioni sull’ambiente, e della tematica sostenibile. Hanno improvvisamente scoperto che la cosa le riguarda da vicino e stanno mettendo in campo comportamenti che possono impattare sul pianeta.
La nuova intelligenza creativa, eco – collaborativa, sta iniziando a lavorare per la guarigione collettiva.
In tutti i campi, la moda, il food, il design, l’architettura, il mondo delle startup, i creativi si stanno organizzando in un unico grande movimento che affronta il tema della sostenibilità dalle diverse prospettive, con idee nuove e innovazione vera.
Perché il cibo è un tassello fondamentale nel processo di guarigione del pianeta?
Qualche dato: l’impatto ambientale del food&drink è vasto e complesso, arriva fino al 40% delle emissioni globali. Il Food Waste o spreco alimentare in America è circa il 40% di quello prodotto e se fosse un paese, sarebbe il terzo più grande emettitore globale di gas serra dietro gli Stati Uniti e la Cina.
Circa un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo per il consumo umano non viene mai mangiato. Pensando allo spreco, dobbiamo considerare tutta la filiera: il cibo che viene coltivato e mai raccolto, quello che viene raccolto e mai venduto, quello che viene venduto e mai consumato, quello che viene consumato ed avanzato.
Stanno nascendo tante iniziative a tutti i livelli, ma è interessante vedere come sono cambiati i consumatori, quali trend guidano il consumo e che ruolo hanno il design e la ricerca nel creare nuovi prodotti, nuove soluzioni, nuovi servizi, nuovi comportamenti. Il cibo è la nuova medicina, l’intelligenza artificiale fornisce milioni di dati sul nostro corpo e sulla nostra salute, aprendo la strada a diete iper-personalizzate.
L’immagine della salute sta cambiando, il cibo perde la sua valenza di relazione e diventa strumento di guarigione. Fisica e mentale. Stiamo espandendo la nostra comprensione degli ingredienti, della funzione di quello che mangiamo e che beviamo e di come tutto questo influenza il nostro benessere mentale, emotivo e fisico.
La dieta diventa strumento di conforto e controllo allo stesso tempo; sta crescendo la domanda di alimenti e bevande disegnati per sollevare l’umore, infondere energia e ridurre lo stress. I drink perdono l’alcool e abbracciano ingredienti funzionali capaci di influire sullo stato d’animo. Ci sono ingredienti che calmano, altri che confortano, alleviano lo stress o eccitano. Ognuno di questi funziona in momenti diversi. Nascono le diete per il giorno e quelle per la notte. il mondo del beauty, della medicina, del wellness e del food si stanno integrando in un’unica filiera funzionale che vede nascere prodotti che fanno bene, senza negare il piacere sensoriale.
Allo stesso tempo, l’abitudine a relazionarsi davanti a uno schermo ha sdoganato l’esperienza digitale. Le esperienze gastronomiche si spostano nel Metaverso, i ristoranti si aprono alla realtà aumentata, e mentre si consumano dessert digitali, ci si rilassa cucinando in una cucina fatta di pixel. Nella vita vera, invece, si torna all’agricoltura, negli orti urbani e si migra fuori della città. Accorciando la filiera produttiva fino ai limiti del proprio giardino, coltivando ognuno per sé, quello che si vuole e come si vuole. Ma soprattutto si chiede al mondo del cibo di ripensare il modo in cui viene coltivato, prodotto e consumato, e di farlo in una prospettiva sostenibile.
Che ruolo ha il design in tutto questo?
Ogni cambiamento che avviene nella società e nei comportamenti, anche grazie all’integrazione delle nuove culture, impatta su tutta la filiera creativa. Se si mangia con le mani come deve cambiare il design dei piatti? E le posate? Non serviranno più?
Se ci si abitua a mangiare per terra cosa succede all’industria delle cucine componibili? Allo stesso modo ora che la casa è anche ufficio, palestra e ristorante, come sta cambiando il design dell’arredamento?Allora se si inizia a coltivare il proprio cibo o si compra direttamente dagli agricoltori (FARM TO THE TABLE) come cambia il retail? Se si semplifica la filiera produttiva probabilmente la si rende anche più sostenibile.
Il Melbourne Skyfarm Project sta trasformando un parcheggio sui tetti della città in un’azienda agricola ad alta efficienza idrica. Mira a produrre oltre 5 tonnellate di cibo all’anno che verranno date in beneficenza o utilizzati in loco.
Se si lavora sull’agricoltura cellulare, si coltivano le cellule di un determinato ingrediente in laboratorio, sia esso carne o cioccolato, fragole o soia, le colture intensive diventeranno obsolete e dunque si produrranno meno gas serra.
Il primo hamburger artificiale nel 2013 costava 325.000 dollari, oggi ne costa dieci e si possono produrre tutti i tipi di carne in laboratorio.
Se si progettano ristoranti carbon neutral che non usino cottura a gas o l’acqua per il riscaldamento? Il McDonalds di Disney World già lo fatto è il primo flagship a emissioni zero. Cosa succederebbe se lo facessero tutti?
Se i nuovi ingredienti o il cibo di scarto sintetizzato vengono utilizzati all’interno di stampanti 3D per produrre cibo a casa iper personalizzato, allora non avremo più packaging da buttare.
Se il packaging sarà edibile, allora mangeremo anche quello e non dovremo più smaltirlo.
Se ci abitueremo a mangiare insetti invasivi ad alto contenuto proteico, da una parte avremo risolto il problema degli allevamenti intensivi e dall’altra avremo eliminato
gli insetti che distruggono le coltivazioni. Nell’80% dei paesi nel mondo si mangiano già circa 1000 diverse specie di insetti.
Se usiamo l’intelligenza artificiale per misurare i consumi all’interno dei supermercati, sapremo sempre quanto cibo ordinare ed elimineremo lo spreco.
La start up israeliana Wastless ha creato una tecnologia che in tempo reale riduce il prezzo dei prodotti direttamente sull’etichetta man mano che si avvicinano alla data di scadenza.
O se si disegnano nuovi adesivi naturali di cera che avvolgono i frutti e ne rallentano il processo di maturazione fino a 14 giorni, allora avremo più tempo per consumarli ed eviteremo di buttarli via. In Peru la startup Bio Natural solutions ha creato uno spray incolore e inodore che fa esattamente questo, riducendo lo spreco alimentare nel paese.
Se nei paesi emergenti si interviene sulla catena del freddo contrastando la distruzione del cibo dovuta al caldo, avremo contribuito in maniera sensibile al problema dello spreco alimentare: é il tema della ricerca dell’Università di Nairobi, in Kenia.
Pensiamo al violento impatto del cambiamento climatico su certe culture: dopo gli incendi i produttori di vino si ritrovano con uva che sa di fumo: Hoopes Vineyard sta cercando di creare un brandy da uva affumicata per non buttare via tutto il raccolto. Si può parlare di ELASTIC AGRONOMY come scrive The Future Laboratory, che trova soluzioni nuove quando il clima cambia improvvisamente compromettendo le colture.